Dove osa Kyle Thompson

Camminare, osservare, perdersi nella natura, fotografare. Dall’alto valore terapeutico di questa successione di operazioni prende vita il modus operandi del giovane Kyle Thompson. Una tecnica che ha affinato con la tenacia dell’autodidatta da quando, a partire dai diciannove anni, ha preso a fotografare. Chiede in prestito la macchina fotografica ai suoi e si allontana da casa, nei sobborghi di Chicago, per addentrarsi nei luoghi in cui l’umano non ha più un ruolo dominante. Case abbandonate, foreste, sponde di fiumi, acquitrini, non-luoghi in cui gradualmente inserisce se stesso. “Ho pensato all’autoscatto per non disturbare nessuno. Mettevo il cronometro e poggiavo la macchina fotografica su un qualsiasi supporto che lo permettesse. Partendo da lì ho sviluppato il procedimento”.

Oggi Thompson ha ventisei anni e alle spalle mostre in molti Paesi, pubblicazioni e premi, tra cui due edizioni del Photo of the Day di Vogue Italia. È da pochi giorni terminata la sua seconda personale italiana Open Stage, curata da Gabriela Galati, ospitata dagli appartamenti borbonici della Reggia di Caserta e quest’estate vedranno la luce gli scatti della sua residenza d’artista, tenutasi tra marzo e aprile scorsi presso aA29 Project Room di Caserta. “Durante la residenza” – afferma Galati – l’artista ha approfondito le specificità della relazione fra ambiente urbano e natura in Campania, relazione che si è storicamente sviluppata in maniera poco armoniosa: mentre incivilimento, urbanizzazione e pratica artistica sono spesso stati fuori dall’ordinario, come nel caso stesso della Reggia di Caserta o della magnifica architettura di Napoli o Salerno, in tempi recenti la regione ha subito la tremenda contaminazione delle sue terre fertili. Senza dubbio Thompson ha la possibilità di trovare ed esprimere il proprio punto di vista artistico su queste tensioni”.

Gli scatti che compongono la serie Open Stage sono accomunati infatti da ambientazioni naturali solitarie dove l’unico protagonista è il fotografo stesso, quasi sempre da solo, sempre estremamente vulnerabile. Il trovarsi in una condizione non confortevole è la conditio sine qua non dei lavori di Thompson: immerso in un fiume gelato d’inverno, dormiente su un materasso in riva al mare, nudo tra le carcasse di automobili, col corpo in fiamme. Dopo aver individuato quei non-luoghi cari alla sua poetica, immagina il set da allestirci e gli oggetti da inserire, spesso completamente avulsi dal contesto e che fanno parlare della sua come fotografia surrealista. Come ammette lui stesso, la pre-produzione riveste un ruolo più importante della post-produzione nella sua arte. Nel 2015, con la serie Ghost Town, si era spinto oltre i suoi limiti: per due giorni si è ritratto come parte integrante di una casa abbandonata sommersa dall’acqua e inghiottita dalla vegetazione circostante, evocando atmosfere a là David Lynch, Cindy Sherman, Gregory Crewdson e richiami alla fotografia di Francesca Woodman. Ma “la differenza specifica dell’opera di Thompson dalla loro”- come afferma Galati – “è che l’artista volutamente distrugge la cortina fra ambientazioni e spettatore, immergendolo nelle sue composizioni surrealiste e facendogli scordare, alla fine, che sono solo messe in scena. Una delle maniere in cui l’artista raggiunge questo effetto è la resa universalista dei propri autoritratti: non mostrando sempre il suo volto, Thompson consente allo spettatore di identificarsi con il soggetto rappresentato, e così facendo lo trasforma da voyeur a protagonista dell’opera”.

Ma se in Ghost Town prevale l’idea che la natura si è prepotentemente rimpossessata di ciò che l’urbanizzazione le aveva sottratto, nel suo ultimo lavoro in trasferta campana la situazione si rovescia. Il fotografo statunitense sembra infatti che abbia fatto fatica a rintracciare piccoli spazi incontaminati nella vastità degli insediamenti urbani e industriali. E amplifica questo senso d’oppressione corredando ogni foto con la relativa “foto-contesto”, ovvero svelando il backstage in cui lo scatto è stato realizzato. Così in Newspaper dove, come Ophelia, è disteso in un ruscello dalle acque torbide contornato da fogli di giornale al posto dei fiori, la “foto-contesto” ci risveglia da quell’ambientazione bucolica e ci mostra come quel fiumiciattolo scorra ai lati di un parcheggio. Oppure come in Harness dove il suo corpo nudo ed esile si staglia nel cielo infinito in preda a una sorta di metamorfosi arborea, la “foto-contesto” svela come la poesia di quel cielo sia in realtà interrotta dai tralicci della corrente elettrica. Fornire allo spettatore il tassello mancante è essenziale per Thompson, a costo di spezzare la magia. “Lo spettatore rimane sempre affascinato dalla qualità onirica dell’immagine – sottolinea Galati – e ogni foto valorizza con sapienza i dettagli; ma solo quando facciamo zoom out e le mettiamo in contesto, possiamo veramente completare il puzzle”.

Gli scatti di Kyle ci parlano di sogni, a volte incubi, ricordi e traumi infantili, sensazioni ed emozioni dal gusto malinconico e nostalgico, che vanno a sollecitare la parte più intima del nostro inconscio. La ricerca di ambienti e di sensazioni lo ha spinto in molti contesti, sino a condurlo nell’est Europa alla ricerca dei luoghi dei suoi antenati, e arrivando in Campania. E di quest’ultima tappa aspettiamo curiosi di vedere cosa il suo occhio ha saputo cogliere delle nostre tipicità e anomalie ambientali.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 89 di Wu Magazine (giugno-luglio 2018)

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