Cinque e una punta

Cesarino quella mattina aveva aperto gli occhi ancora prima che la luce scivolasse sotto le veneziane. A dirla tutta era la stessa cosa ogni giorno, dopo che verso le 5.30 andava a fare l’ultima visita al gabinetto. Poi si ricoricava nel suo lato e con le mani dietro la testa si metteva a fissare il soffitto tinteggiato di recente. E pensava alla sua casa in Abruzzo e ai pomodori che piantava nell’orto sul retro. Pensava ai pomodori e pure ai fagioli, Cesarino, che era stagione anche per quelli.

A un certo punto si era alzato ed era andato in cucina a preparare la caffettiera, quella che aveva comprato sua moglie Luisella più di trent’anni prima e che lui si era portato appresso perché tutti gli altri caffè gli sapevano di bruciato. Aveva acceso la televisione ma non l’ascoltava perché doveva contare i cucchiaini per riempire la moka: cinque e una punta era la misura perfetta di Luisella, «di meno viene sciacquato, di più viene bruciato». Poi aveva aperto la finestra, si era seduto su una sedia e si era acceso una sigaretta, mentre alcuni politici con gli occhi assonnati parlavano della questione dei migranti.

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