Ora vuoi vedere che il problema della cultura italiana è un tazza carina messa vicino a un libro. Se non sapete quello di cui stiamo parlando è perché non seguite il mondo dei libri declinato nell’era di Instagram. E non ci sarebbe niente di male, beninteso. Ma c’è qualcuno che sembra provare fastidio per alcuni utenti del social che convogliano le proprie attività e i propri sforzi nella promozione libraria. Soprattutto se sono donne.

In principio furono i blog che videro la nascita dei Bookblogger. Poi per parlare di libri si preferì YouTube (l’era dei Booktuber, di cui è ancora possibile osservare qualche esemplare), fino a sbarcare su Instagram dando avvio all’epoca dei Bookstagrammer.

Da quando Manuzio s’ingegnò col formato in ottavo, i libri sono diventati sempre più maneggevoli e il loro consumo, anche privato, sempre più diffuso. I libri e la lettura rappresentano da sempre un forte aggregatore sociale, formano comunità, piccoli club, risvegliano coscienze, stimoerlano la creatività; fanno paura, vengono bruciati o proibiti, epurati o censurati, e questo perché universalmente è a loro riconosciuto un potere incredibile, quello di fare cose con le parole (per citare Austin). L’oggetto libro diventato personale, assurge allo status di feticcio, di simbolo. Non si contano i pittori che dal Cinquecento in poi hanno ritratto persone assorte nella lettura, così come i fotografi (a proposito: dal 17 gennaio non perdetevi Leggere, la mostra di McCurry all’Arengario di Monza con 70 scatti sulla passione universale per la lettura). E forse a qualcuno cadrà il joystick di mano nel sapere che sono stati numerosi anche quei pittori che hanno immortalato libri su un tavolo, magari vicino a un piatto di frutta o a una tazza carina. Matisse per fare un nome, Van Gogh, Paul Signac, Cézanne e Picasso, per farne qualcun’altro.

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