Siamo l’ulteriore possibilità di qualcun altro – Alessio Forgione

Grazie al suo romanzo d’esordio, Napoli mon amour, il 34enne Alessio Forgione è stato designato dalla critica come l’erede di Raffaele La Capria. L’autore di Ferito a morte è anche un personaggio del primo libro di Forgione che, in un costante rimando tra vita vera e vita narrata, riceve in lettura dal protagonista Amoresano alcuni racconti in cui si celano già le fondamenta di Giovanissimi. «Non prendi le distanze» aveva sentenziato La Capria dopo averli letti, così Forgione si è consegnato totalmente a quella storia per due anni e mezzo. E in questa seconda prova, appena pubblicata da nneditore, dà mostra di maggiore maturità stilistica e narrativa.

Da poco è tornato a vivere da Londra a Soccavo, quartiere periferico di Napoli dove è nato e cresciuto. E qui la sua storia si confonde con quella di Marocco, il 14enne protagonista di Giovanissimi che prova a capire come si sta al mondo. Intorno al suo percorso di formazione ruotano una periferia-recinto, una squadra di calcio in cui gioca senza particolari ambizioni, la scuola che frequenta per inerzia e una madre assente, fino alla scoperta sconvolgente di quanto i rapporti con gli altri possano completarci.

La storia di Marocco potrebbe vivere anche al di fuori della periferia napoletana?
In parte sì, perché la vita di periferia è un po’ uguale dappertutto. La prima casa in cui ho abitato a Londra era in una periferia molto simile a quello di Soccavo, dove sono cresciuto. Ho dovuto lasciarla subito, non potevo vivere nello stesso contesto che avevo lasciato. La vita nella periferia napoletana è dura, la violenza è costante, anche nel modo in cui le persone si rivolgono tra loro al supermercato. Nel libro ci sono diversi episodi violenti, ma m’interessava tratteggiarli come un costante fischio nell’orecchio, non farne l’oggetto del racconto. Il quartiere di Marocco è una sorta di ghetto, una periferia della periferia che non fa notizia.

Nonostante ciò Marocco non sente mai l’esigenza di uscirne.
È una cosa strana da spiegare, ma anch’io da adolescente uscivo dal quartiere solo per andare a fare le trasferte con la squadra di calcio. Il resto non mi mancava perché non avevo la capacità d’immaginarlo. Quello che manca ai quartieri di periferia è proprio questo, l’immaginazione. Bisogna dare alle persone la possibilità di fantasticare oltre se stesse. Io ho scoperto Napoli quando sono andato all’università, ma non è detto che tutti ci arrivino.

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