Qualche settimana fa ero al telefono con mia nonna per cercare di convincerla a passare la Vigilia di Natale con noi. “Con questa malattia non si può stare tranquilli”, diceva lei che ha quasi novantadue anni ma è convinta di essere malata da quando ne aveva quaranta. Allora io, condividendo i suoi timori, cercavo di spiegarle che avremmo fatto tutti il tampone prima della cena e che avremmo cambiato l’aria della stanza più volte nel corso della serata. “Se il tempo è buono e io mi sento spiritosa vengo”, aveva sentenziato dopo le mie insistenze, e mi aveva salutato chiedendomi di pregare per lei, “che visto che voi non pregate assai, il Signore vi ascolta più volentieri”.

Da quando io e i miei fratelli siamo rimasti gli unici componenti della mia famiglia, gli onori e gli oneri di casa spettano a noi. E tornare tra quelle mura è diventato ancora più importante di quando quelle stanze erano tutte abitate. Tornare a riempirle mi sembra l’unico modo per ritrovare un senso, tirar fuori dagli scatoloni i vecchi addobbi l’unica soluzione per contrastare l’avanzata della polvere, cucinare in quelle pentole l’unico rimedio per non farle invecchiare. Che poi, io dico cucinare, ma sono i miei fratelli i veri cuochi. Io mi limito a impacchettare i regali, montare l’albero e apparecchiare la tavola. Al massimo mi consentono d’impiattare gli antipasti, ma più per non escludermi completamente dalla cucina che per altro.

L’altro ieri, il pomeriggio della Vigilia di Natale, fuori dalla finestra i comignoli di Milano fumavano senza sosta, quando il telefono si è illuminato e ha preso a squillare. “Sto bene, nonna, solo un po’ di raffreddore”, rispondevo alle sue domande allarmate dopo che aveva scoperto del mio tampone positivo. “E questo è l’importante, Madonna mia, che Gesù Bambino t’aiuta!”. Ritrovata un po’ di tranquillità, ha provato a tirarmi su il morale proponendomi di figurarmi in Australia, eventualità che certo non mi avrebbe permesso di essere lì con loro quella sera. Nella sua testa l’Australia è una terra remota che le ha strappato per sempre le sorelle emigrate, un posto lontano da cui è praticamente impossibile far ritorno.

Ma poi ci ha pensato bene e si è resa conto che, in realtà, le sorelle sono riuscite a tornare un paio di volte negli ultimi cinquant’anni e quindi si è avveduta che lo stratagemma consolatorio non era dei migliori. Così ci ha girato intorno, ci ha riflettuto sopra, e poi mi ha informato che comunque anche lei sarebbe rimasta a casa per la Vigilia. E ha concluso dicendo che la cosa fondamentale è stare bene, di non demoralizzarmi, e che anche se non stiamo insieme quest’anno poi staremo insieme per sempre nell’altro mondo.

Per continuare a leggere iscriviti a Minutaglie, la mia newsletter che non va di fretta, di cui questa storia fa parte.