Così ha esordito il mio capo un giorno di giugno, condividendoci un file per la scelta dei giorni delle ferie.
“Bisogna essere tutti di nuovo in sede e operativi!”. 
E tu che gli dici? Intanto e lui che ti passa i piccioli ogni mese. Piccioli che finiscono alla velocità della luce, ma questo è un altro discorso.
Sì, avrei voluto rispondere “Ma il 19 agosto dello stesso anno o di questo?”
Oppure cercare di fargli capire che il 19 agosto io sto ancora digerendo il pranzo di Ferragosto, con parecchia difficoltà, e non senza l’aiuto del citrato effervescente. Però mi sembrava un discorso che un nordico difficilmente avrebbe carpito.
Un nordico non può proprio avere la concezione delle teglie di melanzane e peperoni ripieni che sono passati davanti ai miei occhi. In marcia. 
In fila indiana. 
Ancora li rutto.
Alla fine mi rassegno alle gerarchie, metto qualche melanzana ripiena in un Tupperware e torno nella pianura padana. Scendo dall’aereo e ad accogliermi nessun capo di stato, o red carpet, o fotografi, o orde di fan. Solo pioggia. 
A cui sono seguite numerose bestemmie e lanci di melanzane contro il cielo.
Per farla breve.
Arrivo in ufficio con un umore tale da far andare in depressione anche Pollyanna e scopro che tutti i capi sono in vacanza fino a fine agosto e che davanti ai pc ci sono io e una mezza dozzina di poveri stronzi, che come me avevano ricevuto la fatidica mail.
Orde di melanzane e peperoni ripieni di colpiranno. E ti faranno molto male. 
Ti aspettiamo in ufficio.

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