Nell’aria l’odore di vernice fresca della stanza che sarà il mio studio, nell’appartamento nuovo in cui mi sto trasferendo. Metà delle cose sono già di qua, metà ancora in quello vecchio. Realizzo che quella che sta per iniziare è la prima videochiamata che parte tra queste pareti. Francesca risponde dopo qualche squillo. Di cognome fa Grispello e la cosa mi elettrizza come un bambino di terza elementare visto che, al femminile, quello è il nome del mio piatto preferito, tipico del paese in cui sono nato. Una specie di ciambellina salata col buco, fatta solo con farina, acqua e patate. Dal latino crispus, arricciato, sembrerebbe.

È scappata da Napoli, dov’è nata e dove faceva la giornalista, perché era diventata per lei una città minacciosa. A darle riparo è stata Benevento, poi la sua provincia. Qui ha vissuto per quasi dieci anni con suo marito, qui sono nate le sue bambine.

Sono questi i giorni in cui si ricordano le vittime della pandemia, a un anno dal primo lockdown. Mesi che hanno cambiato la vita di ognuno di noi, anche quella di Francesca. “Ricordo perfettamente l’attimo prima che chiudessero tutto. Proprio quel giorno ero andata dal parrucchiere e, proprio quella sera, ho fatto trovare al padre delle mie figlie le sue cose davanti alla porta di casa”. Il giorno dopo, Conte annuncia che l’Italia sarebbe diventata una enorme zona rossa e che gli spostamenti sarebbero stati vietati.

“Le relazioni cominciano a sgretolarsi molto prima dell’effettivo distacco e la nostra si era sgretolata da tempo. Vivevamo da separati in casa da due anni e non è stato facile. Ho cercato di sopportare la situazione pesante per le mie figlie, loro lo adorano, ma accadono degli strappi che determinano la fine effettiva di una convivenza. Ho una storia personale che non mi permette di essere vittima”, mi racconta Francesca mentre il sole abbraccia la sua e la mia finestra.

“Era da dicembre del 2019 che cercavo di fargli capire che ormai abitare sotto lo stesso tetto non aveva più senso. In quei mesi ho maturato un’idea di me che non era quella che lui mi rimandava: per anni in questa relazione ho creduto di non valere niente, mentre lui era quello che aveva successo personale e lavorativo”.

Se per molti il lockdown ha rappresentato una prigione, per Francesca, che in prigione ci viveva da anni, quel 10 marzo 2020 è avvenuta una specie di scarcerazione. “Stava tornando da un viaggio di lavoro e io, di ritorno dal parrucchiere, gli ho scritto che quella sera sarebbe stato meglio se fosse andato a dormire nella sua casa da poco presa in affitto. Nei mesi precedenti, a poco a poco, avevo già impacchettato le sue cose. Quella sera ho riempito l’ultimo borsone Ikea con vettovaglie per colazione e “conforto” e l’ho lasciato sulla soglia di casa”. Il borsone dello scampato pericolo.

Mentre fuori esplode una primavera che tutti ammiriamo dai balconi, anche in casa di Francesca avviene una fioritura. Di notte lavora alla sua attività di ufficio stampa musicale, di giorno si occupa delle bambine rimaste a vivere con lei e nel resto del tempo impara a fare spazio. “In corridoio c’era un’immensa libreria con tutti i suoi libri. Giorno dopo giorno ho preso a svuotarla, quasi ossessivamente. Lui passava di sera a prenderne un po’ per volta. Quando me ne sono disfatta del tutto, ho preso a fotografarmi contro quella parete vuota, come se fosse febbre”.

La fotografia è sin da piccola uno dei mezzi espressivi di Francesca. Il suo profilo Instagram pullula di foto con lo sfondo bianco di quella parete, col suo braccio steso quasi a misurare le porzioni di spazio di cui si è reimpossessata. Così come quei due mobiletti speculari del bagno: davanti a quell’immagine di pieno contro vuoto, la voglia di recuperare centimetri è stata inimmaginabile. “Per settimane ho tenuto spalancata la finestra della stanza da letto che dividevamo, gli armadi aperti, il materasso divelto per cacciare il suo odore. Ci ho messo quasi due mesi a dormire di nuovo in quel letto. Fare spazio mi è servito a capire che dovevo smetterla di nutrire il dolore: affamare il dolore, per generare spazio”.

 

Per continuare a leggere iscriviti a Minutaglie, la mia newsletter che non va di fretta, di cui questa storia fa parte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

*