A qualunque costo

Al pianterreno del palazzo in cui Pier Vittorio Tondelli abitò, in via Fondazza a Bologna, si trova una libreria dalle cui vetrine s’intravede una donna dal caschetto grigio che si muove tra gli scaffali con passo lento. Un’insegna dai caratteri tipografici recita Libri Liberi e le arcate del porticato proteggono i volumi esposti dai raggi del sole.

Vado incontro ad Anna Hilbe e mi presento, e lei protende lentamente il busto in avanti, come a voler capire meglio il senso delle mie parole. Sintonizzo il mio tono di voce a un volume accettabile per le sue orecchie e lei mi chiede di concederle solo un attimo, arriva subito. C’è un signore all’ingresso con un bustone di libri che attende il suo responso. Gli fa appoggiare i libri su uno sgabello mentre lei si siede per l’ispezione. “Sono tutti nuovissimi” assicura lui. “Sto cambiando casa e non ha senso portarmi dietro quelli che ho già letto e che non rileggerò”. Anna li guarda uno a uno, in silenzio, e sembra dire, questo sì, questo sì, questo pure. Solleva in aria solo un Ken Follett e aggiunge “Questo non possiamo tenerlo, ma se è d’accordo lo metto da parte perché viene a prenderlo un’associazione che aiuta i senzatetto vendendo libri di seconda mano”.

L’idea di mettere in circolo i libri le è venuta nel 2013, dopo aver letto di un’iniziativa simile a Baltimora. Al Comune di Bologna non sapevano come indirizzarla, quando lei andò per presentare il suo progetto e capire gli adempimenti burocratici da sbrigare. Alla fine decretarono che fosse sufficiente apporre su ogni volume il timbro “Questo libro non si compra né si vende” e che nella libreria non ci fosse l’ombra di un registratore di cassa. Per il resto era libera di fare come credeva, tanto dell’affitto e delle utenze se ne sarebbe occupata lei, che manda avanti l’attività dal 2013 con la sua pensione.

anna hilbe libri liberi

Anna Hilbe è stata giovane tra gli anni ’60 e ’70, quando la sua Bologna era in fermento continuo, un laboratorio di idee. “Il mio non è un cognome molto consueto, probabilmente deriva dal Liechtenstein, o comunque da un Paese dell’ex impero austroungarico. C’era un frequentatore assiduo della libreria che ci portava spesso libri di storia e in uno di questi, un Einaudi, lessi la biografia di una cantante ebrea che riuscì a fuggire dal ghetto di Varsavia e a ripararsi nella casa di un signore che si chiamava Hilbe. Questa cosa mi colpì molto perché era la prima volta che trovavo il mio cognome scritto in un libro”.

Discendente da una famiglia d’industriali, Anna s’iscrive all’Università per studiare Lingue straniere: “Ho preso parte al ’68, ho partecipato attivamente alle lotte del movimento studentesco e poi di quello operaio, fino a che non sono entrata in Lotta Continua”. Nel ’77, dopo aver lasciato la militanza attiva, insieme a un gruppo di amiche apre la Libreria delle donne Librellula, la seconda in Italia dopo quella di Milano, che divenne presto il luogo simbolo delle lotte femministe bolognesi. “Le nostre rivoluzioni, le nostre proteste, hanno permesso d’innovare il modo di pensare e di fare cultura. Per dirti, durante una delle nostre occupazioni venne Sartre. Sono rimasta contenta quando un’amica, l’altro giorno, mi ha detto che suo figlio e i suoi compagni hanno occupato il liceo. Speriamo che facciano qualcosa di buono questi ragazzi, alla fine anche noi abbiamo iniziato protestando per le aule piccole o insufficienti. Poi certo, è arrivato il movimento operaio, non so qui se si andrà oltre. Sul femminismo di oggi, invece, è meglio sorvolare”. Da una pila rossa accanto a un giradischi e a un vaso di tulipani di qualche giorno, tira fuori un calendario del 1979 suddiviso in settimane, ognuna delle quali associata a una scrittrice o un’artista. “Lo stampammo con la libreria delle donne in tiratura limitata, tieni te lo regalo” mi fa porgendomelo.

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