Farina del proprio sacco

Il pavimento di legno scricchiola sotto le suole delle mie scarpe e il suo odore elegante si mischia con quello di sudore sparso nell’aria. Fuori, il cielo sopra via Padova, quartiere multiculturale di Milano, si è gonfiato di nuvole e ha lasciato andare una pioggia che serbava per sé da troppo tempo. Mentre le gocce scalpitano sul tetto, le casse di uno stereo nascoste chissà dove suonano Rossetto e cioccolato di Ornella Vanoni e tutte le cose, in questo luogo, anche le più distanti tra loro, sembrano stare perfettamente là dove dovrebbero essere.

Due ragazzi muscolosi si danno cazzotti coi guantoni, la testa al riparo sotto un casco. Uno dei due tiene tra i denti quella protezione che serve a goderseli il più a lungo possibile. “Sono quassù” grida Renato De Donato in cima a una scala, mentre appende un quadro al chiodo che ha appena piantato. Qualche giorno prima, mi racconta una volta ritornato a un’altezza normale, hanno ospitato una mostra d’illustratori all’interno della rassegna di eventi culturali promossa dalla sua palestra.

Sulla parete opposta è raffigurato Eracle, alla maniera dei vasi greci, che cinge il collo del Leone di Nemea un momento prima di soffocarlo e ucciderlo. A dare retta alla mitologia, questa era l’unica maniera per porre fine all’esistenza della bestia che terrorizzava le genti della cittadina del Peloponneso: la sua pelliccia infatti risultava impenetrabile a qualsiasi tipo di arma e quindi il leone poteva essere abbattuto solo da qualcuno dotato di forza sovraumana. A lui è dedicata la palestra che De Donato ha aperto nel 2015, la Heracles Gymnasium.

“La boxe nella mia vita è arrivata per puro caso” mi dice mentre ci accomodiamo nella biblioteca della palestra “quando sono stato bocciato la prima volta in quarta liceo. All’epoca con un mio amico fumavamo come dei draghi, in continuazione. Un giorno ci siamo guardati e ci siamo resi conto che facevamo schifo, e che forse dovevamo iniziare a fare un po’ di sport. Così ci siamo iscritti nella palestra dove ho incontrato quello che poi è diventato il mio maestro, Nello Iovino”. A vederlo non diresti mai che Renato è stato campione italiano di pugilato, nonché sfidante intercontinentale, o forse non lo direi mai io che l’unica persona con cui ho fatto a botte nella mia vita è stata mia sorella. Il fisico è asciutto e definito ma i muscoli se ne stanno disciplinati sotto ai vestiti, senza eccedere in presuntuose smanie di grandezza. Se il Discobolo fosse umano, molto probabilmente avrebbe le sue sembianze. Ha trentasei anni ma ne dimostra molti di meno, e a questo punto non so più se il merito sia da imputare alle canne o alla boxe. “C’è un momento preciso in cui ho capito che quella era la mia strada. Un giorno che avevo fumato e stavo vomitando in un cesso per un colpo incassato male, il mio maestro mi ha tirato su per i capelli e mi ha ordinato di tagliarmeli e di darmi una regolata. Considera che ce li avevo lunghi fino al culo e il giorno dopo mi sono presentato in palestra con la testa rasata a zero. Il mio corpo mi portava lì, ad allenarmi, quello era il posto dove dovevo stare”.


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