Quando l’indomani ho scoperto quello era successo in Marocco mi sono sentito scemo, ma è durato un attimo. Subito dopo sono stato pervaso da un’incredibile sensazione di pace. Ho ripensato al mare cristallino in cui avevo nuotato quel giorno e il giorno prima, e alle meduse che riuscivo a scansare perché le vedevo arrivare, maestose e placide (non è completamente vero, una mi ha beccato, ma mi rovinava l’effetto retorico); ho ripensato al glicine che ho piantato, verso maggio, accanto a un traliccio del pergolato a cui con poche speranze mi auguravo si avvinghiasse e che, invece, la luce dell’estate ha fatto crescere vigoroso e altissimo; ho ripensato alla brezza respirata in riva al lago Arvo, in Sila, steso su un prato a non pensare a niente. E poi mi è venuta in mente mia nonna quella sera di luglio quando mi ha chiesto se potevo potarle le rose anche se stava facendo buio, che lei non ce la fa più a stare in piedi troppo a lungo; e poi alle stelle che si vedono a migliaia dal balcone della stanza dove dormivo da ragazzino e dove sono tornato a dormire.
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