Intervistatore: Gentile Ministro, grazie innanzitutto per il tempo che ha voluto dedicarmi.
Lorenzo Fontana: Grazie a lei. L’importante è che non ci mettiamo molto perché devo tornare a casa dalla mia famiglia con la A finale. Oggi mia moglie prepara un piatto tradizionale padano.
I: Faremo presto, glielo assicuro. Il primo obiettivo di questo incontro è prevenire sue eventuali dichiarazioni sulla non esistenza del Pride, come è già successo nel caso delle Famiglie Arcobaleno.
LF: So benissimo cos’è il Gay Pride e so benissimo che esiste. Infatti quel giorno mi rifugio in montagna insieme alla mia famiglia con la A finale, senza tv e senza cellulare, per non vedere niente.
I: Allora avrà notato che da un po’ di anni si chiama solo Pride per includere qualunque tipo di persona che la sigla LGBTQI ormai non riesce a contenere.
LF: Ma scusi, Pride di che?
I: Beh, innanzitutto di affermare con orgoglio che non ci si vergogna per quello che si è.
LF: Sì, ok. Pure io sono orgoglioso di essere come sono e ringrazio il mio papà e la mia mamma di avermi procreato tradizionalmente così. Ma non è che noi etero stiamo lì a fare l’etero Pride!
I: Non si fa perché non ce n’è bisogno, Ministro. Nessun etero in quanto tale viene condannato a morte in alcuni paesi, nessun etero in quanto tale viene cacciato di casa dai genitori, nessun etero in quanto tale viene picchiato da chi non condivide il suo modo di vestire o perché bacia in pubblico il suo partner.
LF: Sì però un minimo di decenza! C’è bisogno di andare a manifestare senza maglietta, con le cinture di pelle al collo o con le piume di struzzo?
I: Ministro, ha presente come si va vestiti a un concerto rock, o a una sfilata di moda o a una partita di calcio? Ecco, ognuno ci va vestito o svestito un po’ come vuole e nessuno si permettere di gridare all’indecenza o all’ostentazione. Tra gli obiettivi del Pride c’è proprio quello di poter esprimere se stessi liberamente. Lei c’è mai stato a un Pride?
LF: No gliel’ho detto, mi barrico in montagna dalla mia famiglia con la A finale.
I: Ci vada, così si renderebbe subito conto che quelli che le sembrano eccessivi, alla fine, sono una minima parte se confrontati a quella stragrande maggioranza che non viene immortalata dai fotografi perché indossa solo una maglietta e un paio di pantaloncini.
LF: Ok , ma non crede che quelli vestiti in modo eccessivo rischiano di trasformare il Pride in un evento folkloristico?
I: Ministro, suvvia, non mi costringa a citare i cappelli vichinghi di Pontida. Un Pride che obbliga i suoi manifestanti a vestirsi in un certo modo è una contraddizione in termini, mi capisce?
LF: No, che vuol dire?
I: Che è un ossimoro.
LF: Mai sentita questa parola.
I: È contro natura.
LF: Ah ecco, ora sì che la capisco. Sarà, ma per me resta di cattivo gusto!
I: Le svelerò una cosa, Ministro. C’è tanta gente priva di gusto ogni giorno per strada, in Parlamento, in televisione e lo sa perché?
LF: Sentiamo.
I: Perché prima di essere gay, lesbiche, trans, bisessuali, migranti, femministi, musulmani, di destra, di sinistra, gialloverdi, neri, cattolici, atei, handicappati, disoccupati, del nord, del sud, siamo prima di tutto persone. Come tali siamo moderati o eccessivi, colti o ignoranti, magri o grassi, allegri o malinconici, sessualmente avventurosi o abitudinari, giovani o vecchi, aperti o chiusi di mente, abbiamo buon gusto o non ne abbiamo. Semplicemente esseri umani, tutti diversi, ma tutti degni di essere rispettati.
LF: Sì, adesso facciamo l’Essere umano Pride!
I: Beh, non ci sarebbe niente di male.
LF: Comunque, paillettes o non paillettes, ora ci sono pure le unioni civili! C’è ancora bisogno di manifestare?
I: Certo, si manifesta per ottenere il matrimonio egualitario, l’adozione per le coppie omogenitoriali e i single, il rispetto sociale, per tutte le minoranze LGBTQI di Paesi meno tolleranti del nostro e anche per quanti ancora non hanno detto a nessuno del loro orientamento sessuale. Inoltre si vogliono ricordare gli attivisti che in passato hanno lottato per vedere migliorate le condizioni delle persone LGBTQI di oggi, a partire da quelli dello Stonewall Inn, a New York, del 28 giugno 1969.
LF: E si pretende di ottenere tutte queste cose ballando per strada sulle note di Raffaella Carrà e di Lady Gaga?
I: La vedo preparata Ministro!
LF: Ho tanti amici gay, sa…
I: Immagino, le vorranno pure molto bene. Comunque no, non si pretende di risolvere tutto con una sola manifestazione. Ci sono migliaia di associazioni che lavorano 365 giorni l’anno per ottenere questi passi avanti, solo che non vengono fotografati. Nel giorno del Pride si festeggiano i risultati raggiunti e si fa il punto su quelli da conseguire.
LF: Tutto molto bello ma il nostro tempo è scaduto, adesso devo salutarla. Mi aspettano a una marcia dove tante persone vestite in maniera particolare cantano tutte insieme.
I: Ah, quindi si è convinto, parteciperà al Pride?
LF: No, le sorelle della Misericordia mi hanno invitato a una processione in provincia di Verona.

[Una versione perbene di questa intervista immaginaria è stata pubblicata su Esquire Italia]

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