Violetta come Pretty Woman

Dalla figura dell’intellettuale all’inadeguatezza della classe politica, dalle disparità fra Nord e Sud del Paese al maschilismo imperante. Un libro ha analizzato le opere verdiane per scoprire che le contraddizioni e i problemi di cui soffre l’Italia di oggi sono gli stessi che il compositore portava a galla già nell’Ottocento. Da ateo sposato in chiesa conosceva bene il nostro carattere. (Credits: ©Frode)


Per guardarci allo specchio e comprenderci, a noi italiani tocca assistere a un’opera di Giuseppe Verdi. È ciò che sostiene Alberto Mattioli, giornalista, melomane sfegatato – sui social tiene il conto delle recite d’opera cui ha assistito: oltre 1.600 al momento – e autore del saggio Meno grigi, più Verdi da poco uscito per Garzanti. La tesi di Mattioli è che il maestro di Busseto sia uno dei pochi artisti italiani dotati di uno sguardo sincero e disilluso verso i suoi compatrioti, un Lévi Strauss padano che mentre si occupa dei suoi poderi e della musica non perde mai il contatto con «il Paese reale». Attitudine che gli permette di comprendere e mettere in scena gli italiani per quello che sono e non per come credono di essere, prima di tutto perché lui stesso è intrinsecamente italiano.

Nel 1848 Giuseppe Verdi è orgogliosamente repubblicano e rivoluzionario, ma poi diventa monarchico e moderato; ateo, per quanto non conclamato, va in Chiesa ogni domenica e ottiene funerali cattolici nonostante una scomunica; ama viaggiare all’estero ma, come nel caso del primo viaggio a San Pietroburgo, non rinuncia a portarsi dietro salumi, formaggi e maccheroni; alla morte della moglie si avventura nella relazione con Giuseppina Strepponi, soprano con figli illegittimi alle spalle, attirandosi i dileggi dei suoi compaesani. Insomma Verdi conosce bene le tipicità dell’Italia – le contraddizioni e le ipocrisie sociali, le differenze tra Nord e Sud, l’ingerenza della Chiesa nello Stato, il trasformismo politico della borghesia – e le mette in scena. La quotidianità contemporanea di allora si rispecchia nelle sue opere. E anche noi oggi possiamo farlo, quando queste vengono attualizzate con intelligenza. Ma non sarà che il teatro verdiano è ancora attuale perché in fondo noi italiani non siamo poi così cambiati rispetto a 150 anni fa?

Nel Simon Boccanegra, quella che oggi chiamiamo «la gente» fa una pessima figura perché descritta come una folla maneggiata a uso dei demagoghi; di contro ne La Forza del destino c’è un affresco affettuoso dell’Italia rurale, quel «Paese reale» di cui oggi la politica si dimentica sempre più spesso. «Schizofrenia tutta italiana, raccontata bene anche da Fellini» dice Andrea Minuz, docente di Cinema, fotografia e televisione alla Sapienza di Roma. «La cultura italiana è storicamente combattuta tra due idee di popolo: la massa plagiata dalle tv di Silvio Berlusconi e quella idealizzata, autentica e opposta alla casta. Per non parlare del paradosso della sinistra di oggi, a disagio sia sulle terrazze sia nelle periferie, che a furia di parlare degli ultimi ha perso il contatto con essi».
E gli intellettuali? Nel Simon Boccanegra a loro è fatta esplicita richiesta di non mettere becco negli affari dello Stato, in epoca democristiana vengono declassati a «culturame» e oggi accusati di elitismo se abbracciano posizioni «ufficiali». Secondo Minuz, «succede perché la politica non mette la cultura al primo posto, dimostrandosi incapace di progetti a lungo termine. Inoltre quella figura d’intellettuale iperpoliticizzato di matrice gramsciana oggi non esiste più. Se Pasolini fosse vivo sarebbe pieno di botox e ospite delle trasmissioni di Fabio Fazio». Quanto alla famiglia, tema centrale in Verdi, nelle sue opere troviamo lo scontro padri-figli (Don Carlo, Rigoletto), l’ipocrisia catto-borghese dei «panni sporchi si lavano in famiglia» (La traviata, Stiffelio), l’amore contrastato di un giovane di buona famiglia con una schiava straniera (Aida). Oggi si parla sempre più di famiglie, al plurale, a testimonianza che qualcosa sta cambiando: «Ma quell’idea di gestione familiare delle cose, il familismo amorale di Banfield, continua a permeare la nostra società. Dove la famiglia è in crisi subentra il “giglio magico”» osserva Minuz.

Le ultime prese di posizione dei vescovi italiani sulle leggi in discussione in Parlamento, dalle unioni civili al fine-vita, svelano poi l’attualità del Don Carlo, che mette in scena l’incapacità dell’Italia nel rivendicare una completa laicità. Critica riguardo all’ipocrisia borghese è La traviata, che infatti incappò nella censura perché parlava di un presente scomodo che si preferì nascondere sotto un tappeto del Settecento. Violetta è e resterà sempre una prostituta, un corpo estraneo agli ambienti borghesi che tendono all’autoconservazione: «Per lo stesso motivo
la favola di Pretty woman non regge, perché non può avere un dopo» dice Giulia Blasi, scrittrice e ideatrice della campagna #quellavoltache, che ha dato risalto in Italia al tema delle molestie sulle donne. «Anche oggi, nonostante i numerosi passi avanti, la donna che esiste solo per se stessa deve essere riportata nei ranghi. C’è empatia nei suoi confronti solo se svolge una funzione in famiglia o rispetto all’uomo che ne parla». Proprio in Rigoletto Verdi svela questo rapporto del maschio italiano con le donne, nella duplice sfaccettatura di oggetto sessuale per il Duca e oggetto d’amore soffocante per Rigoletto, padre-padrone, nei confronti della figlia. «Sin dalla notte dei tempi» continua Blasi «l’uomo mette nel suo recinto casa bestiame e donna: un essere umano nello stesso campo cognitivo e semantico degli oggetti. Oggi, in qualsiasi pubblicità, i possessi di un uomo considerato di successo sono macchine, orologi, yacht e donne». Tutto fermo dai tempi di Verdi? «La condizione della donna oggi è diversa. I cambiamenti sociali arrivano, hanno solo bisogno di tempo».

Ancora oggi Verdi può farci riflettere sulle nostre peculiarità perché in fondo lui, come noi, «ama l’Italia ma non ne ha stima». Con la differenza che durante le sedute parlamentari, invece di giocare col tablet, componeva opere
ed è per questo che stiamo qui a parlarne dopo un secolo e mezzo.

[Articolo apparso sul numero 5 di Maggio 2018 di Style Magazine Italia – Corriere della Sera]
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