Siamo diventati scettici?

Siamo tenuti in scacco da un esercito di scettici che mette in dubbio le dichiarazioni degli esperti in qualunque ambito e non si fida delle teorie ufficiali, privilegiando il buon senso alla statistica. Ma possiamo dormire sonni tranquilli, gli scettici sono sempre esistiti


Poco tempo fa Alessandro Cattelan ha invitato nella sua trasmissione il virologo del San Raffaele Roberto Burioni, noto per le sue battaglie scientifiche che non ammettono replica perché basate su dati e non su opinioni. Attraverso uno sketch sul modello delle pubblicità progresso i due hanno invitato gli spettatori a conseguire le lauree a suon di like su Facebook anziché sprecare anni preziosi sui libri, evidente presa in giro di quella maggioranza di scettici sempre più in aumento nel nostro Paese, in questo specifico caso la terribile falange dei no-vax. In un impulso di sadomasochismo ho deciso di spulciare nei commenti, per poi spegnere inorridito il computer pochi minuti dopo. Decine e decine di persone ci tengono a palesare il loro disgusto per la presenza di Burioni, definito nel più gentile dei casi “scandaloso, incantatore e arrogante”. A seguire i soliti, incessanti, appelli alla libertà di scelta medica, il disappunto per la fine della democrazia in Italia, le accuse di massoneria e collusione coi poteri forti del “competente” di turno.

L’episodio è esemplificativo della scena pubblica e politica contemporanea dominata dalla messa in dubbio delle dichiarazioni degli esperti (in qualunque ambito), dallo scetticismo verso le teorie ufficiali e dal sospetto con cui è vista la competenza, percepita come elitismo, intellettualismo e nella peggiore delle ipotesi, autoritarismo. In nome della libertà d’opinione e d’espressione, questo popolo di scettici si rifugia in un mondo alternativo, fatto di esperti alternativi, teorie alternative, dati economici alternativi e medicina alternativa. In questa visione del cosmo il male (studiosi ed esperti ufficiali) e il bene (gente comune dotata di buon senso) sono in continua lotta.

Lo scetticismo non è per nulla un fenomeno dei nostri giorni e chi ha aperto anche per sbaglio un libro di filosofia lo sa bene. Nel IV secolo a.C. abbiamo avuto Pirrone e discepoli, poi lo scetticismo dell’Accademia platonica (“Carneade, chi era costui?” vi dice qualcosa?), poi il neopirronismo. Ma se per gli scettici antichi, detta in soldoni, non possiamo avere certezza e conoscenza di niente perché tutto è mutevole e contingente, in età moderna progressivamente lo scetticismo ammorbidisce le sue posizioni (Montaigne, poi Hume ed Hegel) e con René Descartes (alias Renato Delle Carte, alias Cartesio) diventa più un metodo gnoseologico che una corrente filosofica vera e propria. Parafrasando John Searl e andando a memoria nelle lezioni di filosofia della mente e del linguaggio, nel XVII quando scriveva Cartesio, le persone non sapevano molto del mondo (quelle più colte credevano nell’esistenza degli unicorni, per esempio). Ma al giorno d’oggi in cui mandiamo gli uomini sulla luna e li riportiamo a terra, in cui abbiamo sistemi molto elaborati per capire i fenomeni dell’universo, c’è davvero così tanto spazio per lo scetticismo? Rappresenta ancora una possibilità per gli intellettuali odierni così come lo era nei secoli passati?

Ho rivolto questa domanda a uno che di scetticismo se ne intende, il professore Mario De Caro che insegna Filosofia morale presso l’Università Roma Tre (dal 2000 è anche Visiting Professor presso la Tufts University, nel Massachusetts) autore del libro Scetticismo. Storia di una vicenda filosofica, insieme a Emidio Spinelli. “Esistono un’infinità di scetticismi e di applicazioni dello scetticismo. Quindi bisogna capire bene a cosa ci riferiamo. Sul piano filosofico, sì, abbiamo bisogno di scetticismo! Dobbiamo sempre dubitare per capire quanto e se le cose da cui siamo circondati si poggiano su basi solide. Cartesio è un antiscettico, ma si appropria del metodo scettico”.

Ma trascendendo dalla filosofia propriamente detta per inabissarci nel comune (e più misero) sentire odierno, è importante capire se la diffusione dei media digitali e la conseguente e costante sovraesposizione agli input può essere considerata la causa della proliferazione degli scettici contemporanei o se ha solo reso il fenomeno più visibile. Per De Caro sono affermazioni entrambe vere ma che hanno un comune denominatore, la mancanza o la carenza d’istruzione. “Se non insegniamo a ragionare correttamente, se non spieghiamo che esistono la statistica, il calcolo delle probabilità avremo ancora superstizione, caccie alle streghe, o senza andare troppo indietro, gente che dice di vedere gli UFO, oppure i no-vax”. Batterci per una sana istruzione è un imperativo categorico di ogni società evoluta. Ma, fermo restando che ognuno deve poter essere libero di esprimere la propria opinione, sorge spontaneo chiedersi come comportarsi con chi ha già abbondantemente superato l’età scolastica ma si incaponisce e urla che il suo buon senso è superiore a un dato scientifico. “Non si può ragionare con tutti, soprattutto quando c’è in gioco la salute della collettività. A volte, così come nel caso dei vaccini, lo Stato deve essere paternalistico”.

Non ho altro da aggiungere Vostro Onore.

[Questo articolo è uscito sul numero 87 di Wu Magazine / Foto di apertura: Giulio Bernardi, Flickr]
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