Milano vista dagli scrittori del Novecento

Milano è una di quelle città in cui ti capita di trovarti a vivere. O per lo meno è quello che è successo a me (e a tutti i non milanesi che conosco) quando, ormai quasi dieci anni fa, l’ho scelta per studiarci. L’impatto non è subito e del tutto positivo, soprattutto per chi arriva da piccole realtà di provincia. La sensazione di spaesamento iniziale è forte, l’orizzonte non è più delimitato dal campanile di Ernesto de Martino, vengono a mancare i riferimenti rassicuranti. Ma a poco a poco la sua bellezza discreta e non esibita finisce per contagiare, la città accoglie maternamente e regala opportunità a chi sa meritarsele. E si riserva di farsi scoprire con lentezza, quasi come contrappasso alla frenesia di chi la abita.

Propizio è avere ove recarsi, per dirla con Carrère, guidati da chi Milano la conosce bene come Michele Turazzi. Dopo anni passati a raccogliere documentazione Turazzi, trevigiano di nascita, ha dato alle stampe un reportage letterario sul capoluogo lombardo da fare invidia ai milanesi di nascita: Milano di carta. Guida letteraria della città per i tipi de il Palindromo, giovane editore palermitano (ulteriore riprova che spesso l’occhio esterno è più adatto a catturare bellezza).

Armato di vecchie cartine topografiche e animo da viaggiatore Turazzi si è fatto guidare nella sua ricerca da chi la città l’ha vissuta, l’ha scritta, l’ha disegnata. Ha seguito Ernest Hemingway, dopo la disfatta di Caporetto, nel suo girovagare entusiastico tra i tavolini della Galleria a sorseggiare vini bianchi ghiacciati e a cenare al Biffi; ma non quello che conosciamo oggi ma quello ubicato «proprio al centro della Galleria, nell’ottagono, sotto l’affresco dell’Africa del Pagliano, ed era luogo di “concerti serali”, di “rumori di posate e di mondanità che provenivano dall’interno del locale, suscitando la curiosità dei passanti”».

Insieme al toscano Luciano Bianciardi si è addentrato in una Brera a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, pullulante di lavoratori a cottimo, scribacchini di provincia, pittori dai capelli lunghi assiepati in case di ringhiera fatiscenti, bordelli, bar fumosi dove giocare a tresette o osterie dove sfamarsi («nell’osteria delle sorelle Pirovini – che hanno preparato pasti caldi a intere generazioni di artisti squattrinati, spesso facendosi pagare soltanto la metà di quanto consumato – […] leggenda vuole che Bianciardi abbia corretto le bozze della Vita agra»).

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