Pare che in principio fosse il venditore di datteri, tammār in arabo, che arrivava in città a strillare la qualità della sua mercanzia. E ancora oggi l’urlo, il farsi notare a ogni costo, è la caratteristica peculiare del tamarro. Il termine è stato fatto proprio dal napoletano e declinato in tutt’Italia in base al dialetto regionale (dal gabibbo genovese, allo zarro lombardo, dal burino nel Lazio, fino a zambaro, cozzalo e tascio più a Sud). I tamarri da anni affollano il cinema – da Tomas Milian a Carlo Verdone (proprio nel 2018 Gallo Cedrone compie vent’anni), passando per i vari Enzo Salvi, Checco Zalone, Antonio Albanese – così come la musica, Sfera Ebbasta e Young Signorino per tamarri di primo pelo, Supercafone der Piotta e il Funkytarro degli Articolo 31 per tamarri più attempati.

Secondo l’adagio che J-Ax cantava con tutta la poca voce che aveva in gola “il tamarro è sempre in voga, perché non è di moda mai”. E seppur non abbiamo motivo di dubitare di questa verità, ci domandiamo come se la passano i tamarri nostrani al giorno d’oggi dove di moda vanno piuttosto l’onestà e le ruspe e dove la povertà non esiste più.

Per affrontare tale sforzo socio-antropologico preferiamo però rivolgerci a chi di tamarraggine se ne occupa da almeno trent’anni: Tony Tammaro, una specie di divinità campana, con una discografia che parte dal 1989 con Prima cassetta di musica tamarra (circa 15.000 copie ufficiali vendute e altre migliaia piratate) e che ha superato i confini regionali (fino a Londra e Barcellona) con un tour sold-out. E nel nuovo film Achille Tarallo (da oggi al cinema), è in tandem con Biagio Izzo per i matrimoni che gli procura l’improbabile impresario Ascanio Celestini detto Pennabic; regia è dell’80enne Antonio Capuano (Luna Rossa, Leone d’oro a Venezia e La guerra di Mario) che si cimenta con un genere a lui del tutto nuovo, una neo-commedia napoletana, scanzonata e colorata.

Nel film Tammaro è come un Gene Wilder alle vongole; oltreché autore di tutte le canzoni, si conferma commediante di livello. E snocciola massime pronte da T-Shirt («La felicità è un’orata al forno con contorno, la felicità è guardarti negli occhi mangiando gli gnocchi»), parla da sociologo, statista, radical chic e filosofo: a Tammaro, re dei tamarri, non resta che chiedere lumi sulla figura che incarna nel film e di cui ha fatto una professione.  

Il tamarro di oggi è lo stesso di venti o trenta anni fa? «Ieri beveva vino con gazosa, oggi il mojito in un lounge bar». Tammaro rileva come i tamarri oggi abbiano invaso la rete e con quale fare sprezzante si rivolgano al Presidente della Repubblica o ai personaggi pubblici con la seconda persona singolare: «Io sarei per il Lei verso tutti. Certo se poi vedi Salvini che si fa le foto a torso nudo col polipo o il babà in mano, ti scordi che è il Ministro dell’Interno e pensi che sia uno come te. Prima le parolacce si dicevano per strada, oggi su Facebook. E anche per strada ci mancherebbe. Tutti i leoni da tastiera sono tamarri».

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[Foto in alto: Tony Tammaro in una scena del film Achille Tarallo/Courtesy Notorious Pictures]

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