Milano non esiste (più)

Se fino a pochi anni fa si osava criticare qualsiasi aspetto della città di Milano, sguardi torvi e rimbrotti calavano sul malcapitato che si era permesso di proferire parola. Nelle ultime settimane, però, qualcosa deve essersi incrinato nella retorica del racconto di Milano e su Milano. Chi vive in città da almeno 10/15 anni, diciamo dopo l’anno in cui tutto è cambiato, quello di Expo, non può non approcciarsi alle pagine de L’invenzione di Milano – Culto della comunicazione e politiche urbane, saggio-pamphlet della studiosa di politiche urbane Lucia Tozzi (Cronopio edizioni), senza avere l’impressione di trovare per iscritto quelle sensazioni che da anni andava sperimentando senza però riuscire a dar loro una forma, un nome, un ordine.

Il tempismo dell’uscita del libro di Tozzi è praticamente perfetto, nella temperie di saggi, articoli e libri che stanno provando a interpretare cosa è successo a Milano: una città dove il mercato immobiliare è impazzito, dove sempre più fette di popolazione vengono spinte ai margini dalla gentrificazione, dove il costo della vita è aumentato ma non gli stipendi; una città dove tutto sembra in vendita, dalle aiuole del Duomo alle piscine pubbliche, dalle pareti dei tram ai sottoscala spacciati come monolocali cozy.

Da Expo in poi Milano è stata instancabilmente raccontata come una città bella da vivere, da visitare in ogni angolo, piena di fermento e cultura, attenta alla diversity, all’inclusione, ai giovani, alle periferie: una città insomma di cui i suoi abitanti non potevano che essere estremamente orgogliosi, dice Tozzi. A questa narrazione abbiamo creduto quasi tutti e inconsapevolmente o meno ci siamo fatti portatori di questa retorica nel resto d’Italia e all’estero. I turisti sono cresciuti esponenzialmente così come i nuovi abitanti, e di pari passo sono aumentati a dismisura gli eventi, le week, le mostre: tutti, nemmeno a dirlo, imperdibili.

A Milano si è capito che non basta solo la cultura del fare, è necessaria anche l’in- cessante comunicazione del proprio fare. E tutto questo, per Tozzi, ha una sola matrice: il neoliberismo sfrenato. «La costruzione ideologica di una città “di eccellenza”, di un successo meritocraticamente ottenuto, ha alimentato l’accentramento di finanziamenti pubblici – e in seconda battuta di investimenti privati – a scapito dei territori limitrofi e soprattutto di quelli del resto d’Italia», oltre che a produrre enormi diseguaglianze all’interno della città stessa.

L'invenzione di Milano
La cover di ‘L’invenzione di Milano’, il saggio di Lucia Tozzi publicato da Cronopio

Nella costruzione dell’immagine di Milano non può esserci spazio per gli intoppi: chi dissente viene addomesticato finendo per diventare parte integrante di questo processo (Tozzi fa l’esempio di Macao, centro occupato di controcultura, poi assegnato tramite bando), oppure viene espulso insieme a tutti i poveri che non possono permettersi lo stile di vita di una Milano a misura di studenti, giovani lavoratori, creativi e impiegati (che però dormono in periferia o nei comuni limitrofi) – i cosiddetti city users o abitanti short term, ideali a questa narrazione perché spendono, vivono, postano, fanno pubblicità gratuita e non si fanno troppe domande.

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