Tutti i dietrofront del Movimento 5 Stelle

Nella scena politica contemporanea è praticamente impossibile trovare un partito di una certa rilevanza nazionale che sia mai stato totalmente ligio alle proprie idee e abbia mantenuto fede alle proprie promesse. Anzi, questa fase sciagurata della vita politica che ci è toccata in sorte, drogata dai social, dagli algoritmi e dalla disintermediazione, pare proprio fare dell’incongruenza la propria ontologia.

Ma se c’è un partito che più di ogni altro ha fatto dell’incoerenza la sua cifra stilistica quello è il Movimento 5 Stelle. O, per dirla meglio, sui grillini il fenomeno è stato tanto più evidente. Questo nella misura in cui, per anni, hanno perso le corde vocali nel professarsi gli unici esseri umani dotati di onestà, coerenza e bontà d’animo.

Affascinati dal fenomeno antropologico, abbiamo iniziato a stilare una lista di tutte le marce indietro del partito. Anzi no, movimento, nato il 4 ottobre 2009 a Milano, nell’oscura sede di un taciturno signore del web, Gianroberto Casaleggio. Il quale aveva scelto come sua voce il ben più rumoroso Beppe Grillo, comico di professione.

Sono bastati pochi mesi dall’ingresso in Parlamento come forza d’opposizione per cominciare a collezionare tanti piccoli peccati d’ingenuità. A loro  abbiamo guardato con una certa dose di indulgenza: sono giovani, vogliono fare la rivoluzione. Abbiamo scrollato le spalle quando hanno smesso di trasmettere le loro riunioni in streaming che, a loro dire, era l’unica forma di trasparenza possibile. Così come quando li abbiamo visti nei salotti tv, nonostante avessero giurato che loro mai (si spinsero anche a presentare in anteprima a Dimartedì i possibili ministri). O quando annunciarono che non avrebbero mai e poi mai rilasciato interviste a quei venduti dei giornali. Per poi fare a gara a rilasciare le più fantasiose dichiarazioni o comprare pagine del Corriere.

Sono ragazzi, pensavamo, devono farsi le ossa. E giù scrollate di spalle quando sostenevano di essere laici nonostante per nascere avessero scelto il giorno di San Francesco d’Assisi. E che loro erano un non partito e per questo non avrebbero mai avuto bisogno di un leader. Ma poi organizzarono le primarie. O quando uno vale uno ma meglio se scelto dai Casaleggio’s. O ancora quando gridavano di rendere pubbliche le trame di palazzo aprendolo come una scatoletta di tonno per poi andare a rintanarsi all’Hotel Forum di Roma in gran segreto.

A un certo punto, però, le cose hanno cominciato a farsi più complesse. Specie quando hanno iniziato a cambiare idea su proposte di legge che avrebbero migliorato la vita di molti cittadini. Così ritirarono all’ultimo minuto il loro sostegno alla legge sulle unioni civili che per questo motivo adesso non contiene la norma sulla stepchild adoption. Oppure scelsero di non votare la legge sullo Ius soli proposta dal PD quando solo pochi anni prima avevano avanzato una proposta di legge sul tema molto più generosa di quella che stavano affossando.

Così come parlare dell’uscita dall’euro come “extrema ratio“, dopo aver raccolto 200 mila firme nel 2015 per proporre un referendum per tornare alla lira. Oppure rendersi conto che le tanto elogiate e oneste restituzioni da parte di tutti i loro eletti erano in realtà una bugia bella e buona.

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