Appropriarmi della casa di mio padre è stato come cavalcare un animale riottoso – Emanuele Trevi

Vittorio Sereni scriveva che «tutto, si sa, la morte dissigilla». E dell’idea della morte, o meglio, della riflessione sul significato della morte, a partire da un sogno fatto dal poeta nel quale assisteva alla propria, è pervasa tutta quella poesia intitolata Le sei del mattinoAllo stesso modo il nuovo libro dello scrittore romano Emanuele Trevi, Premio Strega 2021, intitolato La casa del mago (Ponte alle Grazie), è permeato dell’idea di morte e dell’indagini intorno a un morto.

Perché Trevi parte dalla convinzione che “la consapevolezza della morte è come il centro di ogni tipo di scrittura, e in particolare di quella autobiografica”. E infatti il morto in questione è proprio suo padre, lo psicanalista Mario Trevi, uno dei primi a diffondere l’indirizzo junghiano in Italia. Le due vite sotto la luce dei riflettori sono, questa volta,  quelle di Trevi padre e Trevi figlio. Il primo un guaritore di anime, quasi un mago. Il secondo colui che si trasferirà nella caso-antro dove il padre compiva i suoi incantesimi.

Il racconto di questo trasloco e dell’appropriazione della casa paterna è il cuore de La casa del mago, che si configura anche come un catalogo ragionato di tutti gli oggetti e delle presenze incontrate fra quelle mura, attraverso un continuo andirivieni tra sonno e veglia, tra ricordi e tentativi di sciogliere enigmi.

Emanuele Trevi: «Appropriarmi della casa di mio padre è stato come cavalcare un animale riottoso»- immagine 3

INTERVISTA A EMANUELE TREVI

Nelle prime pagine del libro afferma che non le è mai interessato sapere come sono fatte le persone. Eppure dà avvio a un’indagine intorno alla figura di suo padre: ha capito qualcosa di più di “com’è fatto”?

La persona mi piaceva molto anche prima. Poi certamente scrivere è un processo dove conta molto la selezione, la trasformazione. Quindi per forza vengono alla luce aspetti che non avevo mai considerato semplicemente pensando tra me e me, perché scrivendo cerco di rendere la mia esperienza comprensibile, immaginabile da un lettore.

Ha mai pensato che le cure e l’accudimento che suo padre destinava ai suoi pazienti ne togliessero a voi familiari (aggiungendo anche il fatto che voleva passare molto tempo da solo, facendo spesso perdere le tracce di sé)?

Mio padre era una persona molto particolare sotto molti aspetti. C’è anche da considerare che i padri di una volta era molto meno accudenti di quelli di oggi. Non c’è paragone. Vedo che le persone della mia età, leggendo il libro, riconoscono più facilmente il tipo umano che descrivo rispetto a lettori più giovani.

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