Ad Andria, in Puglia, va in scena da otto anni uno dei festival più singolari che il nostro Paese (così innamorato dei festival e che già Flaiano aveva battezzato Festivalia) abbia ideato. È il Festival della Disperazione, rassegna che mette al centro il potere trasformativo della letteratura e della cultura, declinandolo attraverso uno dei sentimenti più umani che ci siano. E per questo, molto probabilmente, tra i più letterari.
Dal 7 al 16 giugno si snoda un programma fitto di eventi e appuntamenti che però di certezza ne ha una sola: nonostante l’impegno e la forza di volontà, l’errore e il passo falso sono dietro l’angolo. “Come fai fai sbagli”, infatti, è il tema di questa ottava edizione che ironicamente, ma nemmeno troppo, ci porta a riflettere sulla nostra finitezza e sulla nostra fallibilità.
Gli ospiti sono scrittori, intellettuali, attori e artisti. Tra cui Francesca Coin, Antonio Pascale, Vito Mancuso. Irene Soave, Claudio Morici, Ghemon. Mauro Covacich, Chiara Tagliaferri, Guido Vitiello, Vera Gheno e molti altri e altre. Tra cui il Premio Strega Nicola Lagioia che l’8 giugno partecipa all’incontro “Presto saprò chi sono”. Un elogio alla letteratura che s’interroga sul senso di continuare a leggere romanzi, racconti e poesie ai giorni nostri. L’abbiamo intervistato.
Intervista allo scrittore Nicola Lagioia
È ospite al Festival della Disperazione: quanta ce n’è nel mondo, oggi?
Dipende da che cosa si intende per mondo odierno. Il mondo odierno è grande e ci sono luoghi di enorme disperazione, basti pensare a Gaza, in questo momento è un luogo di disperazione. Come lo è l’Ucraina. Luoghi dove c’è la guerra. Quello è un luogo di tragica disperazione. L’Europa può essere un continente di quieta disperazione, visto che è un posto opulento dove però c’è per esempio la repressione, come anche negli Stati Uniti d’America, in Canada. È una malattia sociale e anche molto diffusa. Dipende che parte del mondo la vediamo. Per esempio i luoghi emergenti, come il Brasile, il Messico, posti dove l’età media non è di 46 anni, ma di 28/25 anni. Questi luoghi non sono luoghi di disperazione. Sono al contrario luoghi di entusiasmo, dove c’è più energia. Posti per adesso meno poveri ma non è detto che lo rimangano. Sono però posti più giovani, l’età anagrafica è più bassa e c’è meno disperazione perché c’è più aspettativa di vita. Detto questo, il mondo sta attraversando una fase turbolenta. Ma la disperazione secondo me non è distribuita, per fortuna, equamente in tutto il pianeta.
Ci sembra tanta solo perché ci siamo dentro?
Ci sembra tanta quando ci siamo dentro. Io per esempio non mi sento disperato, quindi da questo punto di vista mi sento in un mondo molto turbolento, molto fiacco, molto incline a quella che chiamiamo disperazione. Anche se la nostra disperazione non è minimamente paragonabile a quelle nelle zone di guerra.
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